Mondo arabo e crisi mondiale: la via d’uscita è nell’integrazione economica

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Mondo arabo e crisi mondiale: la via d’uscita è nell’integrazione economica

23 Maggio 2009

Anche i paesi arabi – le cui borse dall’ottobre dello scorso anno accumulano perdite significative, al pari degli europei, degli americani e degli asiatici – soffrono la crisi economica mondiale. Il Re saudita Abdallah bin Abdelaziz ha indicato i tre principali problemi del mondo arabo: le divisioni che logorano il corpo della nazione araba, il fallimento del progetto negoziale per una soluzione pacifica del conflitto arabo-israeliano e la frattura all’interno della compagine palestinese. In questo difficile scenario geopolitico grava una crisi economica senza precedenti che intacca sia gli Stati produttori di petrolio (Arabia Saudita, Emirati Arabi, Bahrein, Qatar, Kuwait, Oman, Libia e Algeria), sia i grandi gruppi finanziari (il gruppo saudita d’investimento Kingdom Holding, azionista di Citibank, ha già perso 8 miliardi di dollari). Nei paesi del Golfo ci si attende – secondo le valutazioni dell’agenzia finanziaria Standard and Poor’s – un ribasso del tasso di crescita di oltre due punti percentuali. Tale dato è preoccupante se inserito in un contesto di crescita annua per questi paesi che normalmente si attesta attorno al 5-6% e sulla quale peseranno anche le decisioni del Fondo Monetario Internazionale, con inevitabili riflessi sul costo del petrolio.

 

La crisi generale dei mercati arabi dipende – è utile ricordarlo – anche dal fatto che le monete dei paesi del Golfo sono indicizzate al dollaro e, dunque, maggiormente sottoposte a fenomeni quali l’abbassamento del tasso della valuta americana praticato dalla Fed. D’altro canto, la crisi non è nata oggi, come avevano intuito nel 2007 le banche centrali del Kuwait e degli Emirati, che decisero di garantire i depositi nei rispettivi paesi assicurando i clienti su eventuali rischi finanziari. Rischi finanziari puntualmente verificatisi. Inoltre, per contrastare gli effetti diretti e indiretti della crisi sull’economia degli Emirati, il governo ha stanziato 120 miliardi di dollari sotto forma di fondi d’emergenza. Dubai però è a rischio bancarotta proprio perché, al contrario dei paesi vicini, non ha previsto interventi che contrastassero in anticipo il verosimile verificarsi della crisi. Secondo il ministro degli Esteri del Kuwait, Sheikh Mohammad al-Sabah, la crisi economica mondiale in un quadrimestre ha determinato per gli investitori arabi una perdita di 2.500 miliardi di dollari ed il blocco/rinvio del 60% dei progetti di sviluppo negli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar).

Tra i paesi arabi più colpiti dalla crisi vi è l’Arabia Saudita, il cui volume di scambi è regredito in modo significativo. E’ un dato preoccupante, se si considera il peso dell’economia saudita nella finanza internazionale. Un rapporto ufficiale pubblicato dalla Saudi British Bank (SaBB) quantifica il volume degli investimenti privati sauditi negli Stati Uniti superiore ai 420 miliardi di dollari, mentre il totale degli investimenti sauditi nel mondo raggiunge la cifra di 1.25 trilioni di dollari. Alla fine dello scorso anno in Arabia Saudita si erano levate voci allarmanti in relazione alle possibili perdite sugli investimenti negli Stati Uniti, ma le autorità governative hanno sottostimato la gravità della crisi rilasciando dichiarazioni ufficiali rassicuranti. In realtà, le banche saudite hanno vissuto una crisi di liquidità tale da incidere pesantemente sulla capacità di finanziare i prestiti sia a lungo che a breve termine. Inoltre, nel primo Paese esportatore mondiale di greggio il gigante petrolchimico SABIC ha annunciato una contrazione degli utili. La sola notizia ha comportato una rovinosa caduta dei titolo in Borsa con un effetto domino negativo su molti altri titoli.

Negli Emirati Arabi è il settore immobiliare che sta subendo le principali conseguenze con il congelamento dei progetti d’investimento per un totale di 582 miliardi di dollari e la previsione della perdita, entro la fine di quest’anno, del 45% dei posti di lavoro.

L’Egitto, dovrebbe poter riuscire a controllare gli effetti della crisi mondiale ed arrivare senza grosse turbolenze alle prossime elezioni presidenziali, muftaraq turuk, punto di svolta per il Paese post Mubarak. E ciò grazie al programma di riforme inaugurato nel 2004 che tuttora prosegue, seppur con qualche rallentamento e con forti preoccupazioni dovute all’abbassamento dei principali indicatori economici e all’incertezza su scala mondiale. Traspare la volontà egiziana di proseguire, malgrado le attuali difficoltà, sulla via dello sviluppo del commercio estero, dell’agricoltura e dell’industria, e dell’incremento degli investimenti esteri (nel 2008 il volume globale degli investimenti diretti esteri è stato pari a 13,2 miliardi di dollari contro gli 11 miliardi dell’anno precedente) e degli accordi con altri Paesi, tra cui gli Stati Uniti e (potere dell’economia…) anche con il nemico storico, Israele. Segno tangibile della volontà di superare indenne la crisi mondiale è la decisione del Governo egiziano di varare un pacchetto di aiuti a sostegno delle attività economico/produttive, che ammontano a 30 miliardi di lire egiziane e che saranno erogati a partire dal prossimo mese di luglio 2009.

Per quanto riguarda il Kuwait, è il settore bancario quello maggiormente in sofferenza. Anche se una sola banca, la Gulf Bank, ha annunciato perdite significative (tanto che il titolo in Borsa è stato sospeso per tre settimane), si è generata ugualmente una grande inquietudine fra gli investitori che attendono il piano di sostegno promesso dal governo per aiutare gli istituti finanziari in deficit di liquidità.

In controtendenza, invece, l’economia del Libano che, secondo quanto dichiarato dal Fondo Monetario Internazionale, ha ben resistito alla crisi globale del credito e sta proteggendo efficacemente il tasso di cambio della propria moneta. Il rapporto del FMI loda le autorità di Beirut per la linea politica adottata e l’attenta sorveglianza del proprio sistema finanziario. Nel 2008 l’economia del Libano è cresciuta dell’8% e a gennaio di quest’anno l’inflazione è scesa sotto il 4% (contro il doppio registrato nello stesso periodo dell’anno precedente, durante il picco della crisi dei prezzi delle materie prime e dell’energia). Per quest’anno la crescita rallenterà attestandosi intorno al 3%. Nonostante ciò – scrivono gli analisti del FMI nel rapporto – le riserve internazionali sono destinate a crescere e l’inflazione rimarrà contenuta. Le ragioni della tenuta del Libano rispetto alla crisi – che pure si calcola ha avuto ripercussioni in alcuni settori tra cui il mercato interno del lavoro, l’export e forse anche le rimesse dei libanesi all’estero – vanno individuate nella tenuta del sistema bancario libanese. Nel 2008 gli istituti bancari hanno registrato depositi record (11 miliardi di dollari secondo la Banca Centrale), con un guadagno del 30%. Prevedendo la crisi, con lungimiranza, nel 2007, il governatore della Banca Centrale Riad Salameh aveva invitato tutti gli istituti a sganciarsi da investimenti rischiosi (vedi i mutui subprime statunitensi). A questo si deve aggiungere che la Banque du Liban è da sempre fedele a una politica di prudenza, che ha reso il sistema bancario sufficientemente forte, e ad una rigida regolamentazione in materia di prestiti e mutui. Va anche detto che non è stato solo il settore bancario a tenere ma anche quello immobiliare si è ben difeso, probabilmente perché non dipende esclusivamente da acquirenti stranieri bensì da libanesi espatriati (al riguardo non ci sono dati certi ma la cifra di 12 milioni di persone espatriate contro i circa 4 milioni che vivono nel Paese non si discosta molto dalla realtà). Positivi sono anche alcuni dati economici che riguardano il primo trimestre di quest’anno: il porto di Beirut ha registrato un aumento degli introiti di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, mentre il ministero del Turismo ha segnalato una crescita del 50% dei turisti rispetto al primo trimestre del 2008. Il dato, molto incoraggiante, fa ben sperare nella possibilità di raggiungere e superare i 2 milioni di turisti contro il milione e 300 mila, numero massimo di presenze ottenuto dalla fine della guerra civile.

La situazione libanese rimane però un’eccezione e la crisi preoccupa i leader dei 22 paesi arabi che ne hanno esaminato le cause, le caratteristiche e le possibili soluzioni nel corso del loro primo summit economico – dopo la creazione della Lega Araba nel 1945 – tenutosi a Kuwait City il 19 e il 20 gennaio di quest’anno. Si è discusso di una perdita complessiva che è pari a circa il 40% del valore degli investimenti arabi all’estero. Le perdite di Borsa sono costate 600 miliardi di dollari, senza dimenticare che gli investitori arabi sono stati colpiti anche dal calo degli introiti petroliferi e dalla perdita di valore degli investimenti, senza contare tutte le altre ripercussioni, dirette e indirette, della crisi globale. Qualche giorno prima l’inizio della Conferenza (il 16 di gennaio) i Ministri delle Finanze e degli Affari Esteri dei paesi Arabi si erano riuniti per approvare alcuni progetti, presentati poi al Summit Economico, orientati a favorire l’integrazione economica dei paesi arabi. Da segnalare l’Arab Customs Union prevista per il 2010 e da completarsi entro il 2020. Questa Unione dovrebbe aprire la strada alla costituzione del Mercato Comune Arabo che mira a rafforzare gli scambi commerciali inter-arabi ed a incentivare gli investimenti dai paesi ricchi verso quelli poveri. I ministri hanno inoltre proposto la costruzione di una rete ferroviaria da realizzarsi con i finanziamenti provenienti da istituzioni finanziarie e banche regionali e internazionali. Secondo le statistiche della Lega Araba il commercio inter-arabo sviluppa soltanto il 10-12% del volume totale del commercio di questi paesi, mentre gli investimenti inter-arabi rappresentano una piccola frazione degli investimenti arabi all’estero. Nel vertice economico sono stati discussi interventi specifici che mirano a dimezzare la percentuale della disoccupazione regionale che si colloca intorno al 14%.

La parola d’ordine del vertice è stata quindi l’accelerazione dell’integrazione economica araba, a partire dall’unione doganale che dovrebbe essere operativa già dal 2010 e sarà anche il tema centrale del prossimo summit previsto a Il Cairo nel 2011, secondo quanto dichiarato da Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba. I progetti infrastrutturali sono direttamente connessi a questo obiettivo principale. Non si tratta solo di realizzare delle semplici infrastrutture bensì creare una effettiva interconnessione sul piano energetico, realizzare un mercato unico arabo dell’elettricità, rafforzare la canalizzazione del gas naturale attraverso le pipelines, utilizzare il nucleare civile e l’energia solare. Durante il vertice è stata ribadita anche la necessità di implementare le nuove tecnologie nel settore delle telecomunicazioni attraverso gli sforzi congiunti tra i paesi della regione. Questi gli obiettivi sui quali si sta lavorando in vista del prossimo vertice del 2011 che mirano alla creazione di un’area di cooperazione ed integrazione economica con l’abolizione delle barriere doganali e tariffarie. Passi concreti in questa direzione sono già stati fatti: tra il marzo e l’aprile di quest’anno Giordania, Siria ed Egitto hanno unito le loro reti elettriche mentre Giordania, Siria e Libano hanno raggiunto un accordo con l’Egitto per il passaggio del gas egiziano. Cominciano anche a rifunzionare le vecchie ferrovie – quelle storiche dei mandati francese e britannico – Damasco-Amman, Aleppo-Mossul-Baghdad, Damasco-Teheran, Istanbul-Aleppo-Baghdad. Infine, è allo studio un nuovo accordo di libero scambio tra i paesi delle Lega Araba da estendere anche ai servizi che da soli coprono il 20% del Pil dei paesi dell’area e che porterebbe quindi ad un incremento notevole del commercio.