Trump non ha mai detto che vuole chiudere la Borsa, abolire l’economia liberale e il libero mercato. La sua vittoria ha segnato piuttosto la sconfitta del liberismo progressista, un sistema politico, economico e di consenso che è andato avanti ininterrottamente negli ultimi 25 anni sulle ali della globalizzazione.
C'è un pensatore europeo, nume tutelare della "nuova destra" francese, che guarda con estremo interesse al fenomeno Trump.
Un libro da leggere sotto l'ombrellone. Oggi è la volta del senatore Luigi Compagna, che ci dice: "Scelgo Il Primo Ministro di Anthony Trollope, un autore poco conosciuto in Italia, perché descrive il sistema politico liberale inglese meglio di qualsiasi trattato".
La somiglianza tra i totalitarismi di destra e di sinistra degli ultimi secoli non è un’invenzione di menti bizzarre o di studiosi poco informati. Essa trova le sue radici nella comune idea che l’individuo in quanto tale non esiste. Diventa “presente” solo quando la totalità – comunque la si voglia chiamare – gli consente di diventare autocosciente in quanto parte di un gruppo. E’ questo il motivo di fondo che indusse Isaiah Berlin a separare democrazia da un lato e principio della libertà individuale dall’altro.
E' morto ieri a 79 anni Raymond Boudon, il sociologo liberale teorico dell'individualismo metodologico. Per Boudon l'animo liberale era sinonimo del disincanto di chi abbandona ogni visione mitologica del mondo. L'individuo, la persona umana, andava messo al centro della vita politica, con le sue responsabilità e la sua irriducibile libertà di pensiero e di azione.
Ha sciolto la riserva. Dopo qualche mese di futuro incerto e felicità a momenti, Oscar Giannino si è deciso al grande passo: “Chi non ci sarà alle prossime regionali nel Lazio e in Lombardia non ci potrà essere alle politiche. Abbiamo sette settimane per organizzarci”. Fermare il declino sarà della partita nelle prossime elezioni amministrative. E ha tutta l’intenzione di esserci anche quando si deciderà la composizione del prossimo Parlamento.
Quale futuro per il liberalismo? è stato il titolo della tavola rotonda tenutasi il 22 settembre scorso a Verona. Il dibattito ha preso le mosse dalla presentazione del Dizionario del liberalismo italiano di Rubettino Editore, la cui pubblicazione, come ha ricordato in una sintetica quanto efficace introduzione Nicolosi, viene oggi a colmare una lacuna nella produzione culturale italiana che si protrae dagli anni Sessanta, Settanta, Ottanta, quando appunto la cultura liberale venne “messa in soffitta”.
La società italiana ha conosciuto un vuoto dottrinale determinato dal mancato, inaspettato, radicamento dell'ideale liberal-democratico esplicatosi con le fattezze di un vero e proprio tracollo dell'adesione dei cittadini alla vita politica del Paese. È all'interno di questo quadro che l'occasione di incontro e dialogo offerta da Magna Carta Verona - Scipione Maffei, in collaborazione con l'Istituto Adam Smith, in programma sabato 22 settembre alle 11.30 al Foyer del Teatro Nuovo appare degna di particolare nota.
I fondamenti filosofici e pragmatici dell’attuale liberaldemocrazia occidentale hanno un fiero avversario, un prezioso critico nel saggista francese Alain de Benoist. Nome sconosciuto al grande pubblico italiano, famigerato per alcuni pigri intellettuali di sinistra, anche d’oltralpe, che non gli perdonano il passato schierato a destra. Ma dai quei tempi sono successe molte cose, nella storia politica del mondo e nel pensiero di Alain de Benoist
Pubblicisti molto seri e documentati continuano a scrivere sui giornali che è il nostro enorme debito pubblico, di cui non ha certo colpa il governo dei tecnici, ad allontanare gli investimenti stranieri dall’Italia. Come uomo della strada mi chiedo spesso come mai certe considerazioni, che a me sembrano del tutto ovvie, raramente affiorino nelle analisi degli esperti e, soprattutto, di quanti dovrebbero informare correttamente i cittadini.
Vedo ora che Dino Cofrancesco prosegue su “L’Occidentale” un piccolo dibattito del quale siamo stati protagonisti su “Legno Storto”. Ne sono, da una parte, onorato vista l’attenzione che il collega e amico mi dedica, e dall’altra sorpreso poiché non mi sembrava che il dibattito stesso meritasse un’altra “coda”.
E’ da qualche tempo che il filosofo della scienza e metodologo delle scienze sociali, Michele Marsonet, sul benemerito periodico on line ‘Legno storto’, va mettendo in guardia contro il ‘dogmatismo liberale’ e <l’individualismo come unico metro di giudizio>, che, a suo avviso, starebbero corrompendo la civic culture del nostro paese.
Su Il Giornale del 1° agosto scorso, Dino Cofrancesco chiede ironicamente a “Critica liberale” se l’enorme debito pubblico che ha condotto l’Italia al collasso sia opera dal neoliberalismo e osserva che, se per il liberalismo classico “pubblico” non significa necessariamente dannoso, “privato” non ha mai significato “virtuoso”.
A leggere certe analisi sembra di vivere in un Paese in cui la piovra liberista e una legislazione dettata da Milton Friedman e dalla sua scuola hanno vomitato eserciti di disoccupati, riempito carceri e centri di assistenza, devastato i paesaggi urbani e le campagne, incoraggiato speculatori ed evasori fiscali, sconvolto costumi antichi, fatto aumentare, a livelli preoccupanti, la devianza-droga, prostituzione, rapine, omicidi etc. (tratto da Il Giornale)
Proclamarsi liberali è ormai pre-condizione del discorso politico sensato. Ma esiste oggi un’alternativa plausibile alle società di libero mercato? Il liberalismo può vantare capacità di adattamento all’ambiente storico che il suo antagonista - il socialismo - non possiede. Ciò assumendo, però, che queste due categorie - liberalismo e socialismo - sopravvivano a globalizzazione e post-industrialità.
Nicola Porro e Il Giornale sono protagonisti di un bellissimo progetto editoriale: offrono al grande pubblico una collana di classici della Liberilibri sul pensiero liberale, liberista e libertario in formato e-book. Ogni giorno, dall'11 al 26 giugno, Carlo Lottieri presenta un libro e lo inquadra nel suo contesto storico-filosofico.
La fortunata espressione “teatrino della politica” è ormai entrata perfino nella chiacchiera da bar. Non c’è dunque da stupirsi per il crescente sentimento di sfiducia nei confronti della politica tradizionale, della stessa democrazia rappresentativa, di tutta la classe dirigente protagonista della cosiddetta Seconda Repubblica, per quanto riguarda il nostro paese.
Anche i più convinti assertori del liberalismo e dell’economia di mercato cominciano a nutrire seri dubbi su quanto è avvenuto e ancora avviene in questo periodo di crisi profonda. Fermo restando che il libero mercato continua a essere lo strumento migliore per l’allocazione delle risorse, e che i modelli alternativi si sono rivelati fallimentari alla prova della storia, c’è qualcosa di inquietante nel susseguirsi di allarmi che ormai scandiscono la nostra vita quotidiana. E anche sulla permanenza dell'Italia dell'euro tutto si fa inquietante.
«S’ode a destra uno squillo di trombone/ a sinistra risponde uno squillo...». Scrive Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera: «L’Europa deve avere uno scatto. Ma la spinta deve arrivare da ogni paese». Angiolo Bandinelli, sul Foglio, esalta Emma Bonino che si sforza di far capire che quel che occorre è l’Europa. A voler citare tutti gli europeisti in servizio permanente occorrerebbero due pagine fitte di quotidiano.
Il liberalismo, lungi dall’essere una pratica egoistica—come appare a Tzvetan Todorov, autore di un recente saggio Les ennemis intimes de la démocratie Ed. Laffont 2012), in cui il brillante storico e saggista franco-bulgaro riprende tutti i luoghi comuni dell’antiliberalismo d’oltralpe—è fautore di una socialità genuina, spontanea e volontaria, che < non getta sull'autorità sociale che uno sguardo diffidente e inquieto, e ricorre al suo poteri solo quando non può farne a meno>.
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